Only the silence - Maupiti Studio

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Only the silence
Io sono Azrael, l'angelo della morte
Edizione 2
Copyright © 2025 Polaris Lab di Cesare Busati
Tutti i diritti riservati.

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Il presente libro è un'opera di narrativa storica. Mentre gli eventi descritti sono basati su fatti storici, i personaggi presenti nell'opera sono il prodotto dell'immaginazione dell'autore. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, è puramente casuale e non intende riferirsi a individui specifici. Questa opera mira a fornire una rappresentazione immaginaria di eventi storici, senza alcuna pretesa di accuratezza storica dei personaggi.

  
Introduzione – Solo il Silenzio
Io sono Azrael.
L’angelo della morte.
Non un boato, non una lama. Solo un sussurro.
Chiamato dai meandri invisibili del tempo, giungo là dove il respiro si spezza e la speranza cede il passo all’eterno. Non porto con me maledizione né condanna, ma il dono che molti temono e pochi comprendono: la pace.
Da ere dimenticate, ho camminato tra gli uomini.
Ho attraversato le loro guerre e i loro silenzi.
Ho sentito la terra tremare sotto i piedi dei disperati, ho osservato il cielo aprirsi in fiamme, ho vegliato sui malati senza nome e sui bambini abbandonati all’ombra di un destino che nessuno poteva fermare.
Io c’ero.
Quando il dolore superava la parola, quando le grida affondavano nella polvere, quando ogni luce si spegneva, io ero lì.
Eppure, il mio compito è semplice, immutato, eterno:
portare il
silenzio.
Quel silenzio che non è vuoto, ma abbraccio.
Che non punisce, ma consola.
Un velo sottile che si posa sulle anime come neve su un campo distrutto, come notte su un giorno che ha dato tutto.
Appaio quando il mondo trattiene il fiato.
Quando l’orologio smette di ticchettare.
Quando anche la speranza si inginocchia.
Là, tra il battito finale e l’eco che svanisce, c’è il mio passo. Nessuno lo sente, ma ogni essere lo riconosce.
Molti si domandano se io provi qualcosa, se la mia eternità sia un peso o una condanna.
Non c’è giudizio in me.
Non c’è rabbia, non c’è vendetta.
Solo
compassione.
Il mio compito non è decidere, ma accompagnare.
Sono il confine tra ciò che conoscete e ciò che verrà.
Sono l’ultimo volto che incontrate… e il primo che dimenticherete.
E in quella soglia, dove il caos cessa di urlare,
dove i ricordi diventano vento,
lì…
rimane solo il silenzio.

  
Capitolo 1: La peste nera.

  
Atto I – L’Alba di Tenebra
L’alba si sollevava a fatica sopra le colline coperte di bruma. I primi raggi del sole, deboli come fiammelle sul punto di spegnersi, non riuscivano a dissolvere la nebbia che stringeva Eldoria in un abbraccio umido e immobile. Il villaggio, un grumo di case di pietra e legno annerito, sembrava sospeso nel tempo, come se il mondo avesse trattenuto il respiro.
I camini non fumavano. Le campane non suonavano.
Solo un silenzio denso, troppo pesante per essere innocente.
E io ero lì.
Azrael.
Non come leggenda, ma come presenza.
Non come maledizione, ma come testimone.
Camminavo invisibile tra le strade vuote, lasciando che la mia ombra sfiorasse le porte chiuse e le finestre sprangate. Le assi tremavano al passaggio del vento, ma non era il vento. Era la paura. Quella che si infiltra sotto la pelle, che chiude le gole e sbianca i sogni.
Il morbo, la Morte Nera, aveva già affondato le sue unghie nere in quella terra di contadini e madri stanche. Era iniziato con un topo, forse. Con una nave lontana. Con uno starnuto. E ora, a Eldoria, ogni casa era un altare improvvisato, ogni letto un possibile sepolcro.
Nessuno osava uscire.
I cani, affamati, non abbaiavano più.
Le galline tacevano nei pollai.
Solo i passi furtivi dei vivi rimasti, e i sussurri dei morenti.
La piazza del villaggio, un tempo cuore pulsante di mercati, risate e racconti attorno al pozzo, ora giaceva deserta. Le pietre del selciato brillavano di umidità e sangue essiccato. Una carretta abbandonata cigolava piano, mossa da nessuno.
In quel silenzio, ogni rumore era un presagio.
E io, non portavo paura, ma ne sentivo l’odore.
Era nelle preghiere mormorate dietro le imposte.
Era nel tremore delle mani che stringevano rosari consumati.
Era nei pianti soffocati dei bambini rimasti soli.
Camminai lungo Via della Forgia, dove un tempo il fabbro forgiava speranza nel ferro. La sua bottega era chiusa. Una croce di legno inchiodata sulla porta. Una scritta incisa col coltello: “Non entrate. Il fuoco si è spento.”
Più avanti, un vecchio giaceva rannicchiato contro un muro, coperto da un mantello che non bastava a proteggerlo. I suoi occhi erano aperti, ma fissi. Nella mano stringeva una lettera, mai consegnata. Mi fermai. Non respirava più. Eppure, qualcosa in lui era ancora lì.
Mi chinai. Lo accolsi.
Con compassione. Non con pena.
Il mio tocco fu solo un passaggio. Un ponte verso l’altra riva.
Poi lo vidi.
Un bagliore. Una voce. Una preghiera.
Proveniva da una casa sul margine del villaggio. Una finestra era socchiusa, come se l’anima all’interno cercasse aria o conforto. Dall’interno, una voce flebile recitava un Salmo. Non urlava, non supplicava. Pregava con forza sommessa, come chi ha scelto la fede anche nella disperazione.
Era la casa della famiglia Alaric, conosciuti da tutti per la loro bontà. Lui, contadino con mani dure ma cuore aperto. Lei, guaritrice e ostetrica. Tre figli, uno già febbricitante.
Mi fermai.
Non bussai. Non entrai.
Ma li osservai.
Li vidi seduti a tavola, uniti, anche se la fame stringeva.
Il padre teneva una Bibbia tra le mani, le dita tremanti.
La madre posava un panno bagnato sulla fronte del figlio più piccolo.
Il maggiore, un ragazzo di forse undici anni, guardava fuori. E per un istante, guardò dritto verso di me.
Non mi vide con gli occhi.
Ma mi sentì.
Lo percepii dal modo in cui rabbrividì, come se avesse ascoltato un nome antico pronunciato dal vento.
Nessuno parlava più.
Il Salmo era terminato.
Solo il respiro affannoso del piccolo riempiva la stanza.
Io restai lì. Non per portar via.
Ma per ascoltare.
Per ricordare.
Non tutte le morti sono tragedie.
Alcune sono preghiere esaudite.
L’alba avanzava, ma non portava calore.
Il cielo restava grigio, come se il sole si fosse vergognato di sorgere su un mondo così stanco.
Eldoria non sapeva di essere già leggenda.
Un nome inciso nella polvere dei secoli.
E io, Azrael, continuai a camminare.
Perché il giorno era appena iniziato.
E la tenebra non si era ancora dissolta.

  
Atto II: La Casa degli Alaric
All'interno della casa degli Alaric, il tempo sembrava essersi fermato. Le pareti, decorate con semplici croci di legno e immagini sacre, parlavano di una fede incrollabile. In una stanza, il patriarca della famiglia, Henrik Alaric, giaceva su un letto spartano, il suo respiro affannoso risuonava nel silenzio. Accanto a lui, la moglie, Isabella, teneva una mano tremante sulla fronte bruciante del marito, mentre una lacrima solitaria le scivolava lungo la guancia.
Fuori, il villaggio continuava a lottare contro l'inevitabile. Ma dentro quella stanza, Azrael sentiva la rassegnazione, il lento lasciarsi andare alla realtà della fine imminente. Il freddo della morte permeava l'aria, ma era un freddo che portava con sé una promessa di pace.
Henrik, tra momenti di lucidità e delirio, mormorava parole d'amore e di perdono, rivolte a sua moglie e ai suoi figli, che, impotenti, assistevano alla scena da un angolo della stanza. La loro giovane figlia, Elise, stringeva forte un rosario, i suoi occhi grandi pieni di lacrime, mentre il figlio maggiore, Thomas, con il viso scolpito dalla preoccupazione, cercava di confortare i suoi fratelli minori.
Azrael, inosservato, si avvicinò al letto di Henrik. Sentiva le suppliche silenziose di Isabella, la speranza infranta di Elise, il coraggio forzato di Thomas. Ogni membro della famiglia Alaric lottava con la propria battaglia interna, cercando di trovare un senso in quel dolore insopportabile.
L'angelo della morte, per un istante, permise alle emozioni di toccarlo. La profondità del loro amore, la forza della loro fede, e il coraggio di fronteggiare il loro destino. In quel momento, Azrael non era solo il messaggero del silenzio, ma un testimone della resilienza umana di fronte al mistero della morte.
Lentamente, Henrik smise di lottare, il suo respiro si fece più leggero, più silenzioso, fino a fermarsi del tutto. Isabella, con un singhiozzo soffocato, capì che era giunto il momento del distacco. Azrael, con una delicatezza che superava la comprensione mortale, raccolse l'anima di Henrik, avvolgendola in un abbraccio di eterno riposo.
Il pianto della famiglia si mescolava al canto delle preghiere, mentre Henrik, libero dalle catene terrene, seguiva Azrael attraverso il velo che separa la vita dalla morte. Era un momento di tristezza, ma anche di inaspettata serenità.

  
Atto III: Il Pomeriggio delle Anime Perse
Con la partenza dell'anima di Henrik, la casa degli Alaric divenne un luogo di lutto, ma anche di riflessione profonda. Fuori, il sole del pomeriggio splendeva su Eldoria, ma il suo calore non riusciva a penetrare il velo di tristezza che aveva avvolto il villaggio. Azrael, il suo compito non ancora terminato, camminava silenziosamente tra le strade.
Nel villaggio, la paura della peste aveva creato un'atmosfera di sospetto e isolamento. Le famiglie si barricavano nelle loro case, chiudendo fuori non solo il morbo, ma anche la compassione e la solidarietà. Azrael vedeva questa trasformazione, sentiva il freddo dell'indifferenza insinuarsi tra le relazioni un tempo calorose.
In una piccola piazza, un gruppo di abitanti, il viso coperto da pezze per proteggersi dal contagio, discuteva accaloratamente. Il timore della malattia aveva portato sospetti e accuse, frantumando il senso di comunità che un tempo era stato la forza di Eldoria. Azrael osservava, riconoscendo i segni di una tragedia umana che andava oltre la malattia stessa.
Nel frattempo, nella casa degli Alaric, la famiglia si riuniva attorno al corpo senza vita di Henrik. Isabella, con una forza interiore che sorprendeva persino Azrael, si faceva carico del dolore dei suoi figli, offrendo conforto nonostante la sua stessa perdita. Thomas, adesso il capofamiglia, cercava di mantenere una facciata di coraggio, mentre Elise, ancora immersa nel suo dolore, trovava rifugio nella preghiera.
Azrael, mentre avanzava tra le ombre allungate del pomeriggio, rifletteva sulla natura del suo compito. Non era lì per giudicare o condannare, ma per offrire un passaggio verso un'esistenza libera dal dolore e dalla sofferenza. Ogni anima che toccava era un ricordo, un capitolo di una storia umana che non sarebbe stata dimenticata.
Mentre il sole iniziava a calare, un'altra casa attirò l'attenzione di Azrael. Dentro, una giovane madre, abbandonata dalla sua famiglia per paura del contagio, piangeva tenendo stretto tra le braccia il suo bambino febbricitante. Azrael entrò, sentendo la disperazione e il coraggio di quella madre, decisa a non abbandonare suo figlio nonostante tutto.
L'angelo si avvicinò, consapevole che presto avrebbe dovuto accompagnare un'altra anima. Ma in quel momento, c'era solo il silenzioso rispetto per la forza d'amore di quella madre, un amore che sfidava la morte stessa.


  
Atto IV: Il Crepuscolo delle Decisioni
Il crepuscolo avvolgeva Eldoria in un manto di colori pastello, mentre la giornata volgeva al termine. Nella casa della giovane madre, la situazione si faceva più critica. Il bambino, ormai debole, giaceva immobile tra le braccia amorevoli di sua madre, che continuava a cullarlo, sussurrando parole di conforto, nonostante le sue lacrime.
Azrael, testimone di questo struggente legame, avvertiva la lotta interna della madre. Il suo cuore si spezzava per il dolore, ma la sua anima emanava una forza e una determinazione incommensurabili. L'angelo si posò vicino a loro, un osservatore invisibile, pronto ad agire quando il momento fosse giunto.
Nel frattempo, il villaggio di Eldoria continuava a lottare contro l'oscurità che lo aveva avvolto. Le strade, una volta piene di vita e di risate, erano ora silenti, interrotte solo dallo scricchiolio delle porte e dal fruscio dei passi frettolosi. La peste aveva lasciato un'impronta indelebile sulle vite di tutti, un segno di fragilità e di impermanenza.
Azrael, muovendosi tra le ombre crescenti, percepiva la mutevole natura dell'esistenza umana. Ogni vita era come un fiore, sbocciato per un breve, glorioso momento, prima di appassire e tornare alla terra. Ma in quel ciclo, in quel passaggio, c'era una bellezza e un significato profondi che solo pochi riuscivano a comprendere.
Nella casa degli Alaric, la famiglia si riuniva per una veglia, circondando il corpo di Henrik con candele tremolanti e preghiere sommesse. C'era dolore, sì, ma anche un senso di unità e di forza condivisa. In quel momento di oscurità, si rafforzavano i legami, si riscopriva l'importanza dell'amore e della solidarietà.
Fuori, Eldoria si preparava per la notte. Le famiglie si raccoglievano nelle loro case, chiudendo porte e finestre, cercando di proteggersi dalle insidie invisibili che li minacciavano. Ma in quelle stesse chiusure, Azrael vedeva le barriere che impedivano alle persone di connettersi realmente l'una con l'altra, di condividere il dolore e di trovare conforto reciproco.
Azrael, mentre si avvicinava alla fine del suo cammino giornaliero, rifletteva sulla doppia natura della sua esistenza. Da un lato, portatore di fine e di silenzio, dall'altro, testimone della resilienza e della capacità umana di affrontare il dolore con coraggio e amore.
Nella casa della giovane madre, il bambino emise un ultimo, flebile sospiro. La madre, con un grido di disperazione, capì che il suo piccolo era passato oltre. Azrael si avvicinò, offrendo il suo abbraccio silenzioso e pacifico, un passaggio dolce verso un luogo senza dolore.

  
Atto V: La Notte del Silenzio
La notte calava su Eldoria, portando con sé una quiete surreale. Nella casa della giovane madre, il silenzio era rotto solo dai singhiozzi soffocati. Azrael aveva compiuto il suo compito, avvolgendo l'anima del bambino in un abbraccio di pace. La madre, pur nel suo dolore, sembrava avvertire una presenza confortante, una promessa non detta di un incontro futuro in un luogo senza tempo.
Il villaggio, avvolto nelle tenebre, sembrava sospeso in un limbo. Le strade vuote riflettevano la luna piena, che splendeva come un faro nel cielo notturno. In questa ora silenziosa, Azrael camminava tra le ombre, un testimone solitario dell'afflizione e della speranza umana.
Nella casa degli Alaric, la veglia continuava. La famiglia, unita nel dolore, trovava conforto nella reciproca presenza. Isabella, con una forza interiore che sembrava inesauribile, guidava i suoi figli in preghiere sommesse, offrendo parole di speranza e di rassicurazione. Thomas, Elise e gli altri bambini, pur nel loro lutto, sentivano un legame indissolubile che li univa, una luce nel buio.
Azrael, osservando la scena, rifletteva sulla natura del dolore e della perdita. Ogni anima che toccava lasciava un'impronta, un insegnamento. La morte non era una fine, ma un passaggio, un cambio di stato che portava a una nuova esistenza, libera da sofferenza e limitazioni.
Nel silenzio della notte, le famiglie di Eldoria cercavano riposo, sfiniti dalla paura e dall'incertezza. Azrael sentiva i loro sogni agitati, i loro pensieri preoccupati, ma anche i loro desideri di pace e di normalità. In quelle ore buie, l'umanità mostrava la sua fragilità, ma anche la sua straordinaria forza.
Il viaggio di Azrael attraverso Eldoria stava per concludersi. Aveva visto la disperazione e la speranza, il dolore e l'amore. Aveva accompagnato anime verso un nuovo inizio, offrendo loro un passaggio gentile al di là del velo della vita terrena.
Mentre l'aurora iniziava a colorare il cielo, Azrael si preparava a lasciare il villaggio. Il suo compito era stato compiuto, ma la sua presenza sarebbe rimasta, un ricordo silenzioso nel cuore di chi aveva toccato.
Eldoria, con l'arrivo di un nuovo giorno, avrebbe iniziato a guarire. Le ferite del morbo sarebbero state ricordate, ma anche la forza e il coraggio dimostrati di fronte alla tragedia. Azrael, l'angelo della morte, era stato testimone di tutto ciò, un custode silenzioso della loro storia, un portatore di pace in un momento di oscurità incommensurabile."


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